Roma sotterranea

Riportiamo qui di seguito un brano tratto dal libro "Guida di Roma sotterranea" di Carlo Pavia, Gangemi Editore Completamente fu diverso il sopralluogo dell'ipogeo di Villa Glori; li sebbene il sotterraneo si sviluppasse su più piani, non fu necessario utilizzare l'imbracatura e le corde. La collina di Villa Glori è uno dei parchi più belli di Roma, lontana dai centri abitati e dai rumori della città. Non è molto distante dalla cerchia delle mura Aureliane e si affaccia sulla via Flaminia antica. Proprio per questo motivo (sappiamo che lungo le strade consolari abbondavano i sepolcri) e numerose grotte scavate dalla roccia della collina naturali artificiali che fossero furono riutilizzate a sepoltura, apportando ovviamente le dovute modifiche e decorazioni. Non rimangono esempi rilevanti anche perché gli sventramenti urbanistici di questi ultimi anni hanno cancellato per sempre tali testimonianze. Parecchi anni or sono lo scrivente fu inviato da alcuni ragazzi che frequentavano i boschetti della collina a visitare "lo strano buco" che si apriva sul terreno friabile e che risultava quasi completamente nascosto dalla folta vegetazione. Senza un adeguata attrezzatura speleo e soprattutto senza l'ausilio di altri collaboratori in quel primo e veloce sopralluogo non fu possibile analizzare tutti i tratti dell'ipogeo che già da quel tempo appariva interessante per le decorazioni in stucco che ivi si conservavano. Nel momento in cui si costituì il G.S.U.L.U.P.A. la situazione cambiò radicalmente si erano formati presupposti per poter analizzare a fondo il complesso sotterraneo. Il secondo sopralluogo fu effettuato dal gruppo al completo, ognuno aveva un compito ben preciso. La vegetazione aveva quasi del tutto nascosto l'ingresso dell'ipogeo e non fu semplice trovarlo. Nel contempo le piogge avevano determinato frane e la terra friabile della collina sebbene bloccata dalle radici degli alberi era scesa a valle occultando quegli elementi che ricordavano l'ubicazione del monumento. Tutto ciò che era ancora visibile era un profondo pozzo con una parete in muratura a rinforzo del terrapieno. Sulla sinistra si notavano aperture; quelle furono i primi vani perlustrati, ma ci si rese subito conto che anche se antichi non possedevano nulla di architettonico. Sulla destra era una gigantesca frana staccatasi dalla collina sovrastante di chissà quale periodo. Una volta raggiunto il fondo si iniziò il sopralluogo. Ci si trovava in un vano a pianta rettangolare e con pareti rettilinee; non era dunque una grotta naturale. Sugli angoli, dei rozzi giacigli facevano intendere che il luogo era stato frequentato fino a poco prima. Ci si sentiva degli intrusi e non era facile nascondere un certo timore di incontrare qualche sbandato che avrebbe potuto reagire in chissà quale modo. Così come le pareti, anche la volta, molto ribassata, presentava i segni di scavo degli scalpellini ma nessuna traccia di intonaco. Il vano era illuminato dalla bluastra luce del pozzo fino a metà della sua estensione; ora il buio si faceva opprimente. Sulla parete di fondo c'era una apertura arcuata scavata nel tufo; la si penetrò dopo aver acceso il sistema ad acetilene dei caschi e le torce a mano. Varcata l'entrata ci si trovò in uno stretto corridoio che dopo un angolo a gomito si infilava nelle viscere della collina. Sebbene tufo, notevole era la friabilità delle pareti e delle volte cosicché si camminava parlando sottovoce (il rimbombo delle voci avrebbe potuto determinare delle frane) e analizzando le numerose e minacciose crepe. Dopo pochi metri si incontrò una grossa apertura sulla volta determinata da un crollo di chissà quale epoca. Puntando le torce nella feritoia ci si accorse che ad un livello superiore insisteva un altro vano di cui si intravedevano delle pareti, allo stesso modo ben tagliate ma prive di intonaci, e dalle volte ribassate. Già da quel momento si poteva formulare un dato di fatto: l'ipogeo era formato da almeno tre piani sovrapposti. Si riprese il percorso del tunnel ma dopo pochi metri esso si concluse bruscamente; sotto la parete di fondo era un buio foro. Si puntarono le torce nel pozzo e si constatò che ci si trovava sulla volta di una nicchia del vano sottostante. Scendere non fu problematico; il pozzo era alto al massimo 1,50 metri. Uno alla volta si penetrò l'ambiente facendo ben attenzione che non ci fossero crepe sospette sulle volte, che non fosse abitato da animali pericolosi (o peggio ancora da qualche sbandato) e che non si nascondessero pericoli di buche o falde acquifere. Una volta raggiunto il fondo si iniziarono a puntare le torce in ogni dove; ad occhio e croce si stimò una profondità di circa sette metri. Le tracce di candele sciolte su una grossa pietra abbandonata nel centro del vano, le firme apportate sulle pareti e sulle volte utilizzando il nero fumo e il tentativo di staccare elementi decorativi dell'ipogeo dimostravano che quel sopralluogo non era certo il primo; molti altri erano entrati nell'ambiente dal secolo scorso fino a quel momento (le firme portavano anche la datazione e le più antiche erano del 1870). L'uso dell'ipogeo era chiarissimo. Si trattava di un sepolcro formato da una tomba a camera di discreta grandezza e con l'entrata posta su uno dei lati lunghi. Si iniziò l'analisi del monumento proprio dall'ingresso antico. Risalendo carponi la frana di terra ci si portò in un pertugio a ridosso della parete frontale del sepolcro. Si notavano benissimo le tracce degli stipiti della porta, le due piccole feritoie ai lati di essa e la chiarissima impronta del titulus marmoreo al di sopra. Da quel punto di osservazione e illuminando oppurtunamente l'ambiente ci si poteva rendere conto della sua grandiosità e oltre quella frana, la stessa visibile dall'esterno, non era difficile immaginare il tracciato dell'antica Via Flaminia. Era chiaro inoltre che sulle pareti della stessa collina e affiancati a quello dovevano esistere molti altri sepolcri i quali ovviamente erano stati occultati dallo smottamento tellurico. Fu triste notare come il tentativo di asportare gli splendidi stucchi che coprivano tutta la volta aveva deturpato la suggestività del luogo, oltre ovviamente alla conseguente distruzione dell'opera. Le poche tracce rimaste fortunatamente in sito permettevano comunque di notare che la volta era formata da grossi riquadri e che le scene da essi limitati non volevano raffigurare momenti della mitologia greca ma possedevano semplicemente un fine decorativo. Le figure avevano caratteristiche sempre uguali mentre alcuni quadretti erano stuccati solamente lungo i lati; il contenuto era invece costituito da scene graffite in maniera più o meno impressa (evidentemente per conferire una certa profondità alla raffigurazione). Interessanti erano delle dee alate con una torcia o una verga in mano, ciste onorario di varie fattezze animali per metà leoni e per metà cavalli ma sempre cavalcati da personaggi. Un'altra caratteristica interessante dell'ipogeo era la sua simmetria, dalla forma architettonica alle decorazioni. Gli stucchi della volta della metà di destra erano gli stessi di quella di sinistra e naturalmente uguali erano gli arcosoli ai lati della nicchia dalla quale si era scesi. Gli stucchi della volta dell'arcosolio destro erano discretamente conservati e notevoli erano le tracce di policromia; si distingueva ancore una Vittoria alata mentre le grosse ali di un'altra erano lungo le pareti. Al di sotto era il pozzo nel quale giaceva certamente il sarcofago. L'arcosolio di sinistra, da un punto di vista architettonico identico a quello di destra, versava in condizioni pietose. Quasi nulla rimaneva dei meravigliosi stucchi ed alcuni tratti di essi erano nel fondo. La nicchia centrale, più grande delle laterali, non presentava tracce di decorazioni in stucco; era solamente intonacata e forse pitturata. Lungo la parete corta di sinistra era un'apertura rettangolare non molto profonda. A giudicare dalle impronte esterne una grossa lapide marmorea, trafugata in chissà quale epoca, doveva chiuderla. Lungo tutte le pareti correva un basso podio sul quale sedevano i parenti del defunto per assistere alle consuete funzioni religiose e seguire il pasto sacro in onore dei defunti. Si iniziò l'esame per datare l'ambiente. Era facile confrontare le caratteristiche generali con quelle del Sepolcro dei Pancrazi, dei Valeri e col la Basilica Neopitagorica. L'ipogeo di Villa Glori presentava però una trascurabile non finezza degli stucchi unita ad una grossolana non rifinitura delle decorazioni. Le due nicchie laterali, inoltre, insieme alla solitaria deposizione della parete corta di sinistra sembravano essere state costruite in un secondo tempo; le stesse decorazioni in stucco, e soprattutto la loro policromia, ben si distaccavano da quelle della volta centrale le quali non dovevano essere colorate. Ad un primo esame dunque apparve abbastanza chiaro che l'ipogeo era stato costruito verso la fine del I secolo dopo Cristo munendolo solamente del nicchione di fondo e dei banconi. In età antoniniana invece si realizzò il resto. Fu curioso notare come il condotto scavato nel tufo della collina andasse a concludersi perfettamente sulla volta del nicchione centrale. Il dubbio fu se tale galleria avesse avuto inizio dal sepolcro o al contrario dal primo vano rettangolare. Certo è che essa fu realizzata per raggiungere l'ipogeo attiguo allo scopo di trafugare tutto ciò che potesse essere venduto (sarcofagi, vasi, suppellettili varie e perfino brandelli di intonaco stuccato). A lavoro completato si tornò nella galleria; occorreva ancora analizzare il piano soprastante. La salita si dimostrò problematica; il fondo era molto friabile e le pareti non permettevano stabilità. Senza l'utilizzo delle corde si raggiunsero i vani superiori; essi risultavano quasi completamente riempiti di terra fino alle volte. Ci si infilò negli stretti pertugi fino a studiare le pareti scavate nella roccia tufacea. Non si riscontrò alcuna traccia di intonaci.

 

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