Qualche mese fa abbiamo avuto l'opportunità, grazie al progetto "adotta un monumento", di intervistare il direttore della CARITAS di Villa Glori. Quest'esperienza è stata per noi molto utile, poiché ci ha dato modo di capire meglio la funzione e lo scopo di questo centro di recupero per malati di A.I.D.S. La costruzione di questo centro ha suscitato, soprattutto all'inizio, grandi polemiche e proteste da parte degli abitanti della zona, che vedevano in esso solamente un pericolo, una minaccia per i loro figli, che doveva essere assolutamente e immediatamente eliminata o comunque spostata in un posto più lontano, isolato. Per maggiori spiegazioni riportiamo qui di seguito la medesima intervista.
- Come mai la CARITAS è stata messa all'interno di Villa Glori?
Perché era una delle strutture libere del Comune di Roma e Don Luigi
a quell'epoca, nel 1988, pensò di metterlo qui.
- Cosa è veramente la CARITAS?
La CARITAS è una casa famiglia, dove le persone malate di AIDS vengono
non perché costrette ma perché in ogni caso sanno che qui,
con le cure, i farmaci giusti, una vita regolare, possono vivere di più
e meglio. Noi abbiamo un motto "vivere quello che resta con qualità
e non con quantità". La loro permanenza è indeterminata
e possono andarsene quando vogliono; la casa famiglia è composta
da poche persone e proprio per poterle seguire e curare meglio. Non è
un centro di disintossicazione, poiché i malati di AIDS non sono
tutti tossici ma ci sono alcuni malati gay che hanno contratto la malattia
attraverso rapporti sessuali.
- Quando è nato questo centro?
Il primo ragazzo è entrato il 5 novembre 1988.
- Ci sono altri centri come questo?
Sì, ce n'è un altro presso Campo de'Fiori.
- Siete finanziati da qualcuno?
Sì, siamo finanziati dalla regione Lazio, in quanto è nata
come struttura sanitaria perché al tempo l'emergenza era di tipo
sanitario. Le persone che venivano qui, vivevano in media 3, 4 massimo 8
mesi e chiaramente il lavoro che facevano era un sostegno sanitario e "un
accompagnamento alla morte". Oggi, grazie ai nuovi farmaci, alle nuove
terapie e alla ricerca, la vita media si è allungata; siamo intorno
ai due anni di permanenza in una casa famiglia prima che giunga la morte
o l'uscita volontaria dalla casa.
- Chi sono i malati che vengono da voi?
Da noi vengono le persone che sono in AIDS conclamato e con valori di difesa
immunitaria quasi nulli, intorno ai 40 cd4; una persona sana ne ha intorno
ai 1000.
- Le persone che vengono qui, sono in fase terminale?
La terminologia " terminale" ormai è fuori uso come classificazione,
in quanto adesso la vita media si è allungata di molto. Possiamo
dire che sono in AIDS. La differenza tra sieropositivo e AIDS conclamato
è che quando esce una infezione opportunistica che è correlata
all'AIDS si dà il conclamato cioè è uscito qualcosa
che conclama l'AIDS; fino ad allora c'era una sieropositività che
stava ferma ma non dava nessuna patologia collaterale, una volta che si
manifesta una polmonite o un apsioriasi o una qualunque malattia legata
all'AIDS si dà la conclamazione.
- In caso di malattia, chi è a curarli?
Se si ammalano sono ricoverati all'ospedale come chiunque altro. Qui abbiamo
un infermiere e le attrezzature mediche essenziali che servono o in caso
di emergenza o per cure prolungate.
- Come affrontano queste persone la loro malattia?
Non sono rassegnati, loro credono molto nelle terapie e si tengono sempre
ben informati sulle nuove evoluzioni; sanno benissimo che il tempo li aiuterà
perché più si va avanti più la ricerca avanza e più
le possibilità di allungare la vita è maggiore, però
sono anche consapevoli della gravità della loro malattia. Ogni tanto
vedono un loro amico che muore e allora lì fanno dei grossi passi
indietro, si demoralizzano e li prende la paura. Bisogna dire che la casa
famiglia è uno specchio, quando c'è qualcuno che sta molto
male o muore è come vedere sé stessi in un futuro molto vicino.
- Che rapporto c'è tra voi ed i malati?
C'è un grande ed inevitabile rapporto affettivo. Noi non siamo e
non dobbiamo essere visti come dei vigilanti ma bensì come persone
che li aiutano a fare le loro scelte e su cui possono sempre contare nei
momenti di bisogno. Siamo il loro appoggio morale, il loro punto di riferimento;
rispettiamo le loro decisioni, anche se per noi a volte sono sbagliate.
- Hanno un sostegno religioso?
Si, ci sono due suore, che fanno quello che possono, e un sacerdote, molto,
che però ora andrà via. Le figure religiose danno comunque
una certa tranquillità, serenità, sicurezza; ed inoltre i
malati riescono ad aprirsi molto di più che con noi.
- Ci sono delle regole all'interno della CARITAS?
Ci sono ma sono le essenziali:
Se non rispettano le regole, se tornano ubriachi o sotto gli effetti della
droga, destabilizzando in questo modo la casa famiglia. Noi dobbiamo pensare
anche all'equilibrio del centro.
- Siete a conoscenza del valore storico di Villa Glori, sapete quali monumenti
ci sono e perché ci sono?
Proprio all'interno della CARITAS abbiamo, di storico, la casa Cairoli,
dove appunto vi abitavano i fratelli Cairoli, caratterizzata da bellissimi
affreschi; al di fuori di questa, c'è un monumento in ricordo di
una delle vittorie dei Garibaldini. Sappiamo inoltre che c'era per i bambini
malati di tubercolosi un sanatorio, situato qui appunto perché in
mezzo al verde, all'aria aperta.
- Anche la CARITAS è stata messa qui per lo stesso, "perché
fosse in mezzo al verde"?
No, nel nostro caso non è così; in realtà è
situata qui perché questo era l'unico posto libero.
- Stare nel verde aiuta i malati?
Sicuramente fa bene ma non è di rilevante aiuto.
- Cosa ne pensano i malati riguardo la collocazione della casa famiglia?
Quando non erano in ottime condizioni certamente gli faceva bene stare qui
nel verde, adesso non tanto poiché la loro possibilità di
movimento è ampia, sono abbastanza autonomi ma la distanza dal centro
abitato li limita molto.
- Come si svolge la giornata dei malati?
Noi tentiamo di proporgli delle attività per non fargli stare seduti
in poltrona tutto il giorno, ma alla fine sono loro che devono sapersi organizzare
e trovare degli hobby o comunque qualcosa che li impegni e li soddisfi.
Qualcuno di loro sfrutta il nostro laboratorio per dipingere o per fare
costruzioni in legno, altri tentano di andare a lavorare all'esterno ed
altri ancora, invece, non possono assolutamente lavorare perché sono
in condizioni fisiche che non glielo permettono. Il nostro principale scopo
è quello di stimolarli sempre a fare qualcosa anche se poi sta alla
loro volontà e alla loro possibilità psicofisica di fare le
cose.
- Solitamente i malati vengono qui di loro spontanea volontà o spinti
dai loro familiari o amici?
No, qui c'è un iter. Presso lo Spallanzani di Roma, un ospedale,
c'è un osservatorio epimideologico, che ha istituito un centro di
coordinamento, dove le persone fanno richiesta di entrare in casa famiglia.
Questa richiesta può essere fatta dai vari ospedali o circoscrizioni,
che esaminano il caso e poi fanno richiesta a questo centro di coordinamento,
che valuta il caso e ha una lista di attesa. Questa lista fino a tre anni
fa era di 3-4 persone, oggi è di 60; questo è dovuto al fatto
che diminuendo la mortalità i posti non si liberano.
- La CARITAS di Villa Glori quanta persone può ospitare?
9, dal prossimo anno 10
- Le persone che vengono qui devono pagare?
No, assolutamente. Quella che viene da noi è gente senza casa, senza
famiglia, senza soldi, sono in condizioni estreme. Sono tutti a carico della
regione Lazio.
- Tra i malati di AIDS, c'è solidarietà?
Tra loro non c'è un minimo né di solidarietà né
di unità. Ognuno pensa a sé stesso, qui vige la legge del
più forte, devi stare sempre attento perché ognuno vorrebbe
fare il "boss" della situazione. Questo è dovuto alla cultura
da cui provengono, anche se si stanno facendo dei grossi passi avanti; ci
sono stati avvenimenti che hanno fatto trasparire l'affetto che c'è
tra di loro. Solo quando stanno in gruppo manifestano la loro "mafiosità",
ma se presi uno per uno sono come agnelli; sono comunque dinamiche di strada
e di gruppo. Quasi tutti hanno avuto esperienze di malavita come il carcere
dovute a reati connessi per la maggior parte alla droga.
- Cosa ne pensano i malati della CARITAS di Villa Glori?
Fino a pochi anni fa tra i tossici era visto come un lager, perché
la gestione precedente era molto dura, vigeva la paura, adesso la tensione
si è allentata molto e c'è un rapporto alla pari; chiaramente
la nostra autorevolezza dobbiamo sempre tenerla, altrimenti prendono il
sopravvento proprio per il fatto che loro hanno alle spalle un'esperienza
di vita che noi non ci possiamo neanche immaginare, e raggirarci come loro
pare è un attimo.
- Voi in qualche modo li illudete su una possibile guarigione?
No. Ogni lunedì facciamo delle riunioni per i residenti in cui parliamo
della malattia, dei nuovi sviluppi dei Farmaci e delle nuove scoperte. I
malati comunque sono consapevoli che questo non è un centro che li
aiuterà a guarire ma solo a migliorare le condizioni psicofisiche
degli ultimi anni di vita.
- Ci sono stati dei periodi molto brutti ma che ormai sono passati?
Tre anni fa abbiamo avuto 6 morti in 2 settimane, a quel punto la situazione
e lo stato psicofisico va a pezzi.
- Fra loro c'è qualcuno con la possibilità di sopravvivere?
No, con l'AIDS conclamato è impossibile.
Virginia De Gasperis IIB
Silvia Alfano IB