Argomento: Astronomia nella Letteratura Italiana
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L'Astronomia nella Letteratura Italiana
Leopardi
Leopardi, con la sua opera "Storia dell'Astronomia dalla sua origine fino all'anno MDCCCXIII", si era prefissato lo scopo :"...di fare non solo una Storia ma anche una Biblioteca", e allo stesso tempo "... non solo una Biblioteca ma anche una Storia". Infatti con questa particolare opera giovanile Leopardi, oltre a ripercorre le tappe della storia della scienza astronomica, documenta il lettore attraverso un'enorme repertorio bio-bibliografico che vanta un numero superiore a duemila riferimenti bibliografici. Proprio per cercare di ordinare in gruppi questi riferimenti (ma anche per esigenze cronologiche) il Leopardi suddivide l'opera in capitoli. I primi quattro, che costituiscono la prima stesura, ultimata dall'undicenne Leopardi nel 1811, sono dedicati a descrivere la storia dell'Astronomia nelle sue quattro tappe fondamentali: dalle origini fino a Talete, da Talete fino a Tolomeo, da Tolomeo a Copernico, da Copernico "...sino alla cometa dell'anno 1811...". In seguito aggiunse altri quattro capitoli, nei quali venivano esaminati gli ultimi progressi , l'origine e i primi passi dell'Astronomia, e venivano inoltre elencate le opere che erano state consultate per la stesura dell'opera.
L'interesse di Leopardi per la scienza era profondo almeno quanto quello filologico, filosofico o letterario. E è proprio da tale interesse e dalle opere giovanili che derivano i temi leopardiani più profondi, solo che essi nelle "Dissertazioni" e nella "Storia dell'Astronomia" sono sommersi e nascosti tra il gran numero di informazioni storiche e bibliografiche.
"... la natura non distrugge che per creare, e non crea, che per distruggere..." |
Con la Storia dell'Astronomia Leopardi fa riferimento ad una letteratura caratteristica dell'età dei Lumi: la storia della scienza. Come nella copiosa produzione illuministica, anche in Leopardi c'è la tendenza di esaltare l'eroicità, la genialità dei grandi personaggi. L'ammirazione per l'eroicità di questi personaggi è tale che passano in secondo piano gli errori commessi da questi. Leopradi sostiene che la Storia è ricca di errori, e anche in altre opere giovanili (come ad esempio il "Saggio sopra gli errori popolari degli antichi" del 1815) Leopardi si ripropone l'obbiettivo di smascherare questi errori. Secondo il poeta di Recanati i grandi personaggi sono proprio quelli che si rendono protagonisti dei più grandi ribaltamenti della storia e che scoprendo gli errori del passato rovesciano la realtà. Da questa concezione nasce la grande stima che Leopardi aveva di Galileo.
La Storia dell'Astronomia di Leopardi viene oggi considerata prevalentemente una storia "documentata" piuttosto che "ragionata". Leopardi infatti non si proponeva di ragionare sui fatti emersi dalle sue letture, ma semplicemente voleva dare al lettore una visione globale della storia dell'Astronomia, arricchendola e particolareggiandola con riferimenti ad altri documenti letterari.
Dante
L'Astronomia non venne mai trattata esplicitamente da Dante, ma essa occupa un posto di grande rilievo in tutta la produzione dantesca, e in paticolar modo nella Divina Commedia. Grazie all'analisi delle varie opere di Dante, e delle nozioni astronomiche in esse inserite, si sono potute ricostruire le nozioni scientifiche e astronomiche medioevali.
Per Dante ed i suoi contemporanei, con il termine Astronomia si intendevano tutte le discipline che avevano a che fare con il cielo e le stelle, e quindi ben presto si arrivò ad intendere per Astronomia il concetto oggigiorno noto con il nome di Astrologia. Infatti l'Astrologia, le cui radici risalivano addirittura alla cultura babilonese, con il corso dei secoli aveva assunto un'importanza sempre maggiore fino a superare anche l'importanza delle nozioni scientifiche. La gente comune non era più interessata alla pura scienza dei cieli bensì voleva sapere che influssi essi avevano sulla propria vita.
Uno degli episodi più celebri della produzione dantesca, da cui emergono le nozioni astronomiche dell'epoca è senza dubbio il II canto del Paradiso, noto anche come il canto delle macchie lunari. Questo canto è uno dei più dottrinali e didascalici di tutta la Divina Commedia e anche per questo lo stile che lo caratterizza risulta essere leggermente
arido e monotono. Dante giunge guidato di Beatrice nel cielo della Luna. Dante, al pari della tradizione tolemaica e araba, considera la Luna come un pianeta la cui sfera è situata immediatamente dopo la Terra. Desideroso di sapere la causa delle macchie lunari, interroga Beatrice a riguardo. Dante in questo episodio fa riferimento prima ad una credenza popolare secondo la quale Caino, per il suo delitto, venne confinato sulla Luna, poi espone la sua spiegazione delle macchie lunari. Secondo Dante le macchie lunari non sarebbero altro che l'effetto dell'ineguale rarità della superficie lunare che quindi rifletterebbe in maniera diversa i raggi solari. Beatrice deridendo dell'ignoranza dell'uomo spiega a Dante che l'uomo seguendo i sensi cade sempre nell'errore. Infatti non è fisica la spiegazione delle macchie lunari, bensì spirituale e metafisica. Le zone chiare o scure della Luna, come del resto anche quelle dei pianeti, non erano altro che il diverso manifestarsi delle virtù delle varie intelligenze motrici.
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